Il linguaggio del layout – dagli spazi alla profondità

3. Dagli spazi alla profondità

Le regolarità che siamo abituati ad individuare nel mondo che ci circonda ci portano automaticamente verso un altro concetto, quello della simmetria. 


Simmetria e ortogonalità

Siamo soggetti simmetrici, ovvero una metà del nostro corpo è speculare all’altra metà, per questo abbiamo una spiccata attitudine a riconoscere simmetrie in tutto ciò che ci circonda, resa possibile da un meccanismo legato a capacità matematiche innate che hanno a che fare con la predisposizione per i numeri e la geometria; è con esse che riusciamo a vedere il pari, il doppio, la metà di una cosa intera, e infatti non abbiamo problemi a tagliare a metà una mela o un dolce; tale attitudine ci permette anche di maneggiare mentalmente oggetti compiendo operazioni complesse come rotazione, traslazione e riflessione.
Ovviamente tutti questi meccanismi si sono sviluppati per usare il mondo ed è per questo che il cervello davanti alle immagini si comporta come se stesse trattando delle cose vere. I Costruttivisti infatti sostenevano che molte popolazioni cresciute nelle culture occidentali, sono abituate a interpretare disegni a tratto bidimensionale come se fossero oggetti della realtà, ovvero oggetti tridimensionali. È da qui che è nata l’illusione visiva delle figure paradossali.
Osservando l’elefante, non riusciremo a concentrarci sull’intera figura ma solo su una parte alla volta – o il corpo o le zampe – questo accade perché nella nostra attività percettiva si genera uno sconcerto: nella lettura di questa immagine il nostro modello tridimensionale non funziona.
È proprio l’esperienza che facciamo nel mondo che ci rende pratici anche delle leggi fisiche. Siamo infatti in grado di capire come gli oggetti si appoggiano, come pesano, come cadono ed è per questo che associamo a determinate posizioni nello spazio altrettante determinate caratteristiche fisiche: in pratica siamo predisposti anche all’ortogonalità. Psicologicamente ci figuriamo sempre un basso, una base, ma anche un orizzonte che in noi generano stabilità motivo per cui siamo in grado di figurarci anche le inclinazioni e le pendenze che compromettono quella stabilità che ci siamo figurati, e che generano a loro volta dinamicità.
In pratica ci viene automatico imporre quelle che vengono chiamate qualità fenomeniche anche alle figure che in realtà non intendono raffigurare nulla.

simmetria e ortogonalità

Oltre a percepire le caratteristiche fisiche degli oggetti grazie a capacità innate collegate alla matematica, alla fisica e all’ortogonalità, siamo anche capaci di percepire la profondità.

La profondità negli indizi del sistema visivo

Secondo un esperimento di Gibson e Walk del 1960, la percezione della profondità è una caratteristica innata nell’essere umano che dipende anzitutto dal sistema visivo; questi indizi sono infatti presenti già nella retina.
I nostri occhi, distanti circa 6-7 cm e con un campo visivo di circa 90°, ricevono un’immagine della realtà leggermente diversa uno dall’altro: si tratta di disparità retinica o binoculare. Al contrario di quanto si possa immaginare però, noi non vediamo due immagini doppie perché il cervello è in grado di fonderle secondo un processo chiamato stereopsi. Quella differenza di posizione dell’oggetto nelle due immagini rappresenta l’informazione usata dal cervello per calcolarne la profondità: maggiore è la differenza di posizione da un’immagine all’altra più l’oggetto è vicino a noi. Inoltre, dalla convergenza della visione binoculare deriva un altro indizio di profondità: più un oggetto è vicino, più gli occhi devono convergere l’uno verso l’altro per metterlo a fuoco e l’indizio in questo caso ci viene dai muscoli oculomotori che lavorano per far ruotare l’occhio.
Potremmo quindi affermare che non è un caso se in natura i predatori hanno gli occhi affiancati, percependo la profondità possono calcolare la distanza e capire come muoversi per attaccare le prede che, al contrario, spesso hanno gli occhi laterali, posti cioè su due campi che non si sovrappongono. Il campo visivo di 360° permette loro di controllare su tutti i fronti se un predatore si avvicina.

profondità

C’è da dire anche che, pur essendo innata, la percezione della profondità è una qualità che va imparata. Il fatto che un oggetto che si allontana produca sulla retina un’immagine che si rimpicciolisce all’aumentare della distanza (altro indizio di profondità) non basta da solo a far percepire la profondità. Il cervello si allena a fare questo collegamento fin dall’infanzia e solo dopo un po’la realtà sulla retina diviene la “realtà” senza più bisogno di decifrazione.
A spiegare questa teoria l’esempio di un uomo oggetto di studi che, cieco fin dalla nascita, iniziò in tarda età dopo un delicato intervento. Per vedere però la vista da sola non gli bastava, egli infatti prima ancora di individuare l’oggetto davanti a sé aveva bisogno di toccarlo. Per quanto riguarda la profondità invece, vedere qualcuno che si allontanava per lui significa solo vederlo rimpicciolire senza comprenderne movimento e motivo: non percependo la profondità non era in grado nemmeno di attraversare la strada o di quale fosse l’oggetto a lui più vicino nella stanza. Questa condizione e la vista delle imperfezioni del mondo (macchie, scorticature, crepe…) lo portarono a rifiutare la luce e la vista: il mondo non era come se l’era sempre immaginato, così ordinato, liscio, colorato e geometrico. Un’insofferenza per l’imperfezione che appartiene all’uomo e che lo porta a considerare sensata l’idea di cambiare il mondo.

La profondità negli indizi dell’immagine

La disparità binoculare e la convergenza, precedentemente analizzate, sono indizi binoculari primari poiché riguardano entrambi gli occhi e non dipendono dall’esperienza; ma anche usando un occhio solo siamo in grado di percepire profondità grazie sempre a quelli che sono definiti indizi monoculari e si dividono in indizi cinetici e indizi pittorici. I primi sono legati al movimento, mentre i secondi sono di natura bidimensionale e sono quelli usati nella pittura figurativa.

Gli indizi cinetici sono:
Parallasse di movimento: percezione del movimento delle cose rispetto al fondo.
Collinearità dei punti durante una rotazione.
Ingrandimento retinico: la velocità di ingrandimento di un oggetto ci dice quanto le cose siano distanti da noi.

Gli indizi pittorici sono:
Sovrapposizione: se una forma è sovrapposta ad un’altra e ne occlude la vista inferiamo che quella che copre sta davanti.
– Grandezza relativa: le forme più grandi generalmente stanno davanti rispetto a quelle più piccole.
Altezza sul piano dell’orizzonte: le forme che nel campo visivo si trovano in alto ci appaiono come più lontane, ma ciò dipende dalla loro posizione rispetto all’orizzonte. Gli oggetti più vicini all’orizzonte, che siano al di sopra o al di sotto di esso risultano alla nostra percezione più lontani; se poi la forma più lontana la facciamo anche più piccola allora l’illusione aumenta; l’indizio che subentra si chiama gradiante di dimensione.
Gradiante di tessitura: la tessitura o grana iviene più densa all’aumentare dalla distanza; questo dettaglio individuato da Gibson ci rende più facile la riproduzione della profondità sfruttando caratteristiche intrinseche dell’oggetto.
Convergenza di rette parallele: linee parallele appaiono convergere all’orizzonte; quel punto in cui le linee convergono viene chiamato punto di fuga; formalizzato dalla prospettiva euclidea si tratta di una tecnica molto utilizzata nelle discipline artistiche per la resa della prospettiva lineare.
Prospettiva aerea: si tratta di un effetto facile da individuare osservando la natura grazie al quale gli oggetti chiari e distinti sono percepiti come vicini mentre quelli più vaghi sono percepiti come più lontani; la pittura fiamminga arriva a dipingere veri e propri strati di aria azzurra che coprono paesaggi  lontani.
Qualità delle superfici colorate: alcuni colori sembrano venire in avanti altri invece sembrano indietreggaire; ciò dipende sia dalla luminosità della tinta rispetto al fondo – il giallo sembra avanzare rispetto al blu su base nera perché tra giallo è nero e nero c’è più scarto in temrini di luminosità – sia sia perché nell’occhio ci sono prevalenze di olore: i coni verdi e rossi sono più numerosi rispetto a quelli blu perciò forme rosse e verdi sembrano sembrano venire verso di noi.
Ombreggiatura: il nostro cervello è abituato a considerare una luce proviente dall’alto dato che si è evoluto in un contesto in cui l’unica luce è il sole e si trova in alto; perciò, dove le ombre sono poste in basso percepiasce figure in rilievo (convesse) mentre dove le ombre sono poste in alto preferisce percepire forme concave e non una luce che invece proviene dal basso.

indizi cinetici monoculari
indizi pittorici monoculari
indizi pittorici monoculari
indizi pittorici monoculari

Bibliografia
Critica portatile al Visual design (Riccardo Falcinelli, 2014)
Guardare pensare progettare, neuroscienze per il design (Riccardo Falcinelli, 2011)
Attenzione e percezione, i processi cognitivi tra psicologia e neuroscienze (R. Dell’Acqua, M. Turatto, 2006)