Da Internet, le nuove facce della diffamazione – domain grabbing e metatag

Dopo l’astroturfing, il noto reato collegato alle azioni di marketing che solitamente si serve di false recensioni che innescano una vera e propria concorrenza sleale, esistono altri tipi di diffamazione, come quello che coinvolge il marchio di un’azienda, il così detto domain grabbing. Impossessarsi del marchio altrui per trarne benefici è una pratica sleale legalmente perseguibile che negli ultimi anni si è evoluta passando da azioni più evidenti a pratiche più nascoste e subdole, difficili da scovare, come quella che sfrutta il metatag.

Furto del nome: dallo sfacciato domain grabbing al subdolo metatag

Tra le pratiche di diffamazione on line, quella del domain grabbing coinvolge uno degli elementi più caratteristici di un’azienda: il marchio. Segno di riconoscimento imprescindibile, il marchio è particolarmente esposto alla contraffazione on line proprio per l’uso che ne può essere fatto nel web.

Il domain grabbing e il nome a dominio

Questo infatti viene solitamente inserito nel nome a dominio (domain name) di uno sito Internet per facilitarne non solo il riconoscimento, ma anche la stessa ricerca. Per nome a dominio si intende l’indirizzo in formato alfabetico di un sito web che, per semplificare la memorizzazione, viene agganciato all’indirizzo IP (Internet Protocol Address): una sequenza numerica attribuita in automatico, tutt’altro che facile da ricordare. A identificare il nome a dominio sono tre componenti separate da un punto:

  • il prefisso www-
  • un Second Level Domain (SLD): parte centrale del nome che identifica il titolare del sito.
  • un Top Level Domain (TLD): posizionato alla fine del nome a dominio e che identifica il tipo di attività; ne sono esempio le terminazioni .it (aziende che marcano l’identità italiana), .com (attività commerciale), .net (privati o aziende), .org (organizzazione non a scopo di lucro), .info (siti di informazione), .eu (aziende e altro che devono risiedere nell’UE).

Quando il marchio viene utilizzato come nome a dominio assume per l’impresa un valore non solo distintivo, ma anche pubblicitario. Ovviamente per operare nel mercato un marchio deve possedere differenti requisiti come quello di capacità distintiva (distinguere un prodotto da un altro), novità (non confondibile con altri) e liceità (non contrario alle leggi); i nomi a dominio sono infatti regolati dalla disciplina sul diritto al nome o pseudonimo (articoli 6, 7, 8, 9 del Codice Civile), dalla disciplina sui marchi e segni distintivi (articolo 2569 e ss. del Codice Civile e D.Lgs. 30/2005 del Codice di Proprietà Industriale), oltre che quella sui marchi prevista dall’Unione Europea e dalla disciplina codicistica sulla concorrenza sleale.

La tutela nell’ar t. 22

Tra questi, l’articolo 22 del D.Lgs. 30/2005 il divieto di utilizzare segni simili a quelli di altri marchi il cui utilizzo comporti non solo confusione nel riconoscimento da parte degli utenti, ma anche un vantaggio economico per chi li utilizza, definendo tale atteggiamento concorrenza sleale. Pertanto, il titolare di un marchio registrato ha diritto al servirsene in modo esclusivo e ciò vale anche per la registrazione del nome a dominio; nel caso però in cui persone terze utilizzino il medesimo marchio registrandolo come proprio dominio, il titolare potrà agire in giudizio facendo ricorso (Ex articolo 700 c.p.c.).

Metatag: un gioco di parole

Il domain grabbing sfrutta la notorietà di un dato marchio per trainare i suoi consumer in un altro sito o più semplicemente attirare navigatori grazie alla visibilità della sua collocazione; il marchio infatti, come già ampiamente discusso, appare nell’elemento più visibile di un sito web, il suo domain name, al contrario di quanto accade con un nuovo tipo di contraffazione non immediatamente percepibile: l’utilizzo del marchio altrui come metatag, escludendo i casi in cui viene utilizzato dall’e-commerce di siti terzi per concessione. Si tratta di parole chiave (keywords), codificate nel linguaggio della rete e utilizzate dai motori di ricerca per indicizzare i vari siti web presenti in Internet. Le keywords, in questo caso, consentono al sito di comparire tra i risultati di una ricerca condotta in riferimento a un dato marchio pur non avendo con esso nulla a che vedere, intercettandone il traffico e compiendo un atto illecito.


Bibliografia
Il marchio che gode di rinomanza, Dottorato di ricerca in diritto commerciale: proprietà intellettuale e concorrenza, Sara Caselli <www.tesineonline.it>

Articoli web
I nomi a dominio: disciplina giuridica, registrazione e orientamento giurisprudenziale, E. Cretaro, C. Ferrauti, R. Priolo, M. Romeo <www.meluisform.it>